Iperconnessi e infelici, nuovi allarmi. Serve una rete per aiutare i nostri ragazzi

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La chiamano “nomofobia”, è l’ossessione di non essere connessi. L’ultimo allarme in ordine di tempo arriva dall’Osservatorio nazionale sull’adolescenza, che ha condotto la ricerca su un campione di 3.900 ragazzi tra gli 11 e i 13 anni e 9mila adolescenti tra i 14 e i 18. I giovani della “Generazione Z”, nati tra il 1996 e il 2010, passa al telefono anche sei ore al giorno. Se si considera che la mattina vanno a scuola e il pomeriggio devono dedicare del tempo allo studio significa che tutto il tempo libero diventa appannaggio del cellulare, un tempo che da libero rischia di diventare con ogni evidenza un tempo schiavo.

17 ragazzi su 100 non riescono a staccarsi da smartphone

Che non si tratti di iperboli, che di schiavitù si debba effettivamente parlare, lo dimostra un’altra ricerca promossa da “Telefono azzurro” secondo cui 17 ragazzi su 100 non riescono a staccarsi da smartphone e social, uno su 4 è sempre online, il 45 per cento si connette più volte al giorno, il 78 per cento chatta su Whatsapp continuamente, e il 21 per cento si sveglia di notte per controllare l’arrivo di eventuali nuovi messaggi.

In qualità di Ambasciatrice di San Patrignano a Napoli ho voluto fortemente mettere l’accento su questa subdola forma di dipendenza che scava e svuota relazioni, affetti, energie nei nostri ragazzi. L’ho fatto insieme a una rete di esperti, docenti, genitori, studiosi e rappresentanti del mondo delle istituzioni (leggi qui). Una rete che ora si sta strutturando per agire nel concreto e cominciare a porre un argine a questa deriva. Non solo, per cominciare anche promuovere percorsi fondati su ricerche in grado di mettere genitori e insegnanti nelle condizioni di individuare prontamente segnali di allarme e di agire di conseguenza. Nessuno può e deve lasciarli soli.